Il Controllo a distanza dei lavoratori a seguito del Jobs Act
Chi installa videocamere o dispositivi per controllare i dipendenti, senza previo accordo con i sindacati, commette un reato. Anche a seguito dei decreti attuativi del Jobs Act.
Lo ha stabilito la terza sezione della Corte di Cassazione penale (sentenza n. 51897 ud. 08/09/2016 - deposito del 06/12/2016), relativamente al caso di una donna che presso il proprio distributore di benzina aveva fatto installare, senza però darne avviso, delle telecamere per controllare i propri dipendenti. Gli agenti accertatori avevano contestato il reato previsto dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori ed il Tribunale, in primo grado, aveva condannato la rappresentante legale dell'azienda. Veniva dunque proposto ricorso per Cassazione, rigettato tuttavia dalla Suprema Corte.
La terza Sezione ha ricordato come il decreto 23/2015, attuativo di alcune deleghe contenute nel Jobs Act, abbia modificato la L. 300/70, "rimodulando la fattispecie che prevede il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e di quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa" e che dunque sussiste continuità di illecito, anche a seguito delle modifiche normative.
Gli Ermellini hanno specificato che tale condotta non costituiva un legittimo esercizio di chi intende tutelare il patrimonio aziendale, giudicando al contrario lesive "le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore".