In presenza di soci usufruttuari, le somme derivanti da una liquidazione di una srl devono essere tassate dagli usufruttuari e non dai nudi proprietari.
Scritto da Giovanni Benaglia
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In presenza di un usufruttuario che detiene delle quote di una società a responsabilità limitata, le somme che derivano dalla conclusione della liquidazione volontaria, devono essere dichiarate dall’usufruttuario stesso e non dal nudo proprietario.
A stabilire questo principio di diritto è la Corte di Cassazione, Sezione 5 Civile, con sentenza numero 11152 del 20 marzo 2024 pubblicata il 24 aprile 2024.
A stabilire questo principio di diritto è la Corte di Cassazione, Sezione 5 Civile, con sentenza numero 11152 del 20 marzo 2024 pubblicata il 24 aprile 2024.
Il caso.
Il caso giudicato trae origine da un ricorso avverso un diniego di rimborso proposto da cinque contribuenti che sono nudi proprietari di alcune quote di partecipazione di una società a responsabilità limitata. Al termine della liquidazione volontaria la società ha provveduto a distribuire una somma che è stata poi inserita nella dichiarazione dei redditi dei singoli soci nudi proprietari. La tesi proposta da quest’ultimi è, infatti, che sono loro i legittimi percettori delle somme e non il socio usufruttuario in quanto, in caso di scioglimento di una srl, la posta di patrimonio netto dalla quale vengono prelevate le somme è indistinta e non imputabile a una voce di utile. In sostanza, secondo i nudi proprietari, al termine della liquidazione si sono visti restituire il denaro che è stato conferito in sede di costituzione della società e non una forma di “utile”, che spetta unicamente all’usufruttuario.
La decisione.
La Cassazione non è d’accordo con la tesi proposta dai contribuenti. Prima di arrivare, però, ai motivi della decisione, gli Ermellini si pongono il problema sia di chiarire quando cessa il diritto di usufrutto su una quota di una srl sia di stabilire quali sono i diritti patrimoniali che spettano all’usufruttuario.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che dà risposta ai due problemi sopra descritti. Di conseguenza occorre fare ricorso alle norme generali in materia di cessazione dell’usufrutto, che sono contenute nell’art. 1014 del Codice Civile. Per quanto di interesse, il passaggio importante è quello che prevede che l’usufrutto cessa “per il totale perimento della cosa su cui è costituito”. Per cui, per analogia, nel caso di una partecipazione in una società, l’usufrutto non cessa al momento della messa in liquidazione della società stessa, ma al momento in cui questa viene cancellata dal registro imprese. E’ solo in quel caso che la cosa su cui è costituito l’usufrutto “perisce”.
Accertato questo principio, la Cassazione osserva che non solo non vi è nessuna norma che limita all’usufruttuario il diritto di percepire solo i dividendi, ma non vi è nemmeno nessuna norma che prevede che l’usufruttuario debba percepire delle somme dalla società solo quando questa non è in liquidazione! L’ambito di azione è ormai sostanzialmente circoscritto. Si tratta solo di risolvere l’ultimo dilemma: una società in liquidazione può produrre ancora utili?
Certamente sì, è la risposta. In ciò viene in aiuto anche l’art. 47 comma 7 del TUIR, il quale stabilisce che le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione di una società sono oggetto di tassazione per la parte eccedente il prezzo pagato per l’acquisto. Di conseguenza rientrano nell’oggetto della tassazione anche le somme assegnate ai soci a titolo di patrimonio netto risultante dalla liquidazione, nulla rilevando se esse possano riferirsi a voci di utili o di denaro conferito in sede di costituzione o successivamente.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che dà risposta ai due problemi sopra descritti. Di conseguenza occorre fare ricorso alle norme generali in materia di cessazione dell’usufrutto, che sono contenute nell’art. 1014 del Codice Civile. Per quanto di interesse, il passaggio importante è quello che prevede che l’usufrutto cessa “per il totale perimento della cosa su cui è costituito”. Per cui, per analogia, nel caso di una partecipazione in una società, l’usufrutto non cessa al momento della messa in liquidazione della società stessa, ma al momento in cui questa viene cancellata dal registro imprese. E’ solo in quel caso che la cosa su cui è costituito l’usufrutto “perisce”.
Accertato questo principio, la Cassazione osserva che non solo non vi è nessuna norma che limita all’usufruttuario il diritto di percepire solo i dividendi, ma non vi è nemmeno nessuna norma che prevede che l’usufruttuario debba percepire delle somme dalla società solo quando questa non è in liquidazione! L’ambito di azione è ormai sostanzialmente circoscritto. Si tratta solo di risolvere l’ultimo dilemma: una società in liquidazione può produrre ancora utili?
Certamente sì, è la risposta. In ciò viene in aiuto anche l’art. 47 comma 7 del TUIR, il quale stabilisce che le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione di una società sono oggetto di tassazione per la parte eccedente il prezzo pagato per l’acquisto. Di conseguenza rientrano nell’oggetto della tassazione anche le somme assegnate ai soci a titolo di patrimonio netto risultante dalla liquidazione, nulla rilevando se esse possano riferirsi a voci di utili o di denaro conferito in sede di costituzione o successivamente.
Il principio di diritto.
La sentenza in commento è senz’altro innovativa, tanto da far esprimere agli stessi Ermellini il principio di diritto per il quale quando si è in presenza di soci usufruttuari di una quota di srl, qualsiasi somma che la società in liquidazione distribuisce come esito della liquidazione stessa, deve essere tassata dal socio usufruttuario e non da quello nudo proprietario.