Agevolazione fiscale impatriati anche per chi cessa lo smart working dall'estero
Scritto da Giovanni Benaglia
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La Direzione Regionale della Lombardia con risposta a interpello n. 904-1007/2022, su un caso seguito dallo Studio, ha previsto che l’agevolazione fiscale per i lavoratori che rientrano dall’estero spetta anche nel caso del contribuente che cessa il lavoro in “smart working” e che rientra in Italia alle dipendenze della stessa società per la quale lavorava a distanza.
IL CASO
Il contribuente italiano è dipendente di un’azienda italiana per la quale ha svolto le mansioni, anche a seguito della emergenza da Covid-19, in modalità smart working trovandosi residente all’estero. Si tiene a precisare che la presenza all’estero non era frutto di un distacco, ma di una vera e propria necessità dovuta dalla pandemia.
Successivamente, finito il motivo che aveva portato a svolgere il lavoro a distanza, il contribuente è rientrato in Italia continuando a lavorare alle dipendenze della stessa azienda per la quale svolgeva l’attività in smart working.
LA RISPOSTA.
L’Agenzia delle Entrate ha svolto, preliminarmente, una veloce disamina della disciplina relativa al regime speciale per Lavoratori Impatriati, introdotta con l’art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 147, successivamente modificata nel corso del tempo. Le condizioni per accedere a questo regime speciale sono:
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Trasferire la residenza nel territorio dello Stato Italiano;
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Non essere stato residente in Italia per i due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e impegnarsi a mantenere la residenza in Italia per almeno due anni;
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Svolgere l’attività lavorativa prevalentemente in Italia.
L’agevolazione spetta per 5 anni a partire dal periodo di imposta in cui si trasferisce la residenza, che può essere prorogata per altri cinque anni purchè il contribuente abbia un figlio minorenne o a carico, oppure diventi proprietario di almeno un immobile residenziale. Nei primi cinque anni l’agevolazione dei lavoratori impatriati consente l’abbattimento forfettario del reddito nella misura del 70% dello stesso. Nei successivi cinque anni, qualora ne ricorrano le condizioni, l’abbattimento forfettario scende al 50%.
Fatta questa premessa, l’Ufficio tiene a precisare che il reddito prodotto in smart working, seguendo anche quanto specificato nelle risposte n.296 del 2021 e n.590 del 2021, va tassato tenendo conto del luogo dove si svolge la prestazione. Il criterio generale “è quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa” e, di conseguenza, il reddito deve essere tassato nel Paese in cui viene prodotto, a prescindere da dove poi gli effetti dell’attività lavorativa vengono effettivamente prodotti. Da questo ragionamento discende il fatto che, se il contribuente è residente in uno Stato estero e lavora per una società italiana, nulla vi è da questionare sul fatto che questi pagherà le tasse all’estero, anche se la sua attività lavorativa è svolta a favore di un soggetto italiano.
Sulla base di questa ricostruzione, quindi, il contribuente che trasferisce in Italia la residenza e continua a svolgere le stesse mansioni svolte in precedenza per il medesimo datore di lavoro italiano ha diritto all’agevolazione dei lavoratori impatriati ciò in quanto ha effettivamente mutato il luogo di svolgimento della propria mansione lavorativa. L’Agenza scrive che “a seguito dell’attività lavorativa in modalità smart working dall’estero risulti possibile ravvisare un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa produttiva di reddito di lavoro dipendente in tale Paese, potenzialmente agevolato dall’art. 16 del D.Lgs 147/2015. In tal caso, infatti, pur mantenendo in essere il contratto di lavoro dipendente con la società italiana che lo avevo assunto quando era residente all’estero, il contribuente ha in concreto mutato il luogo della propria prestazione dell’attività di lavoro dipendente, iniziando di fatto a svolgere attività di lavoro in Italia”.